Esteri

Afghanistan, o facciamo la guerra o ce ne andiamo

Quattro soldati morti in Afghanistan. Ora ricomincia la giostra delle condoglianze e del “questi-ragazzi-sono-morti-per-la-patria” eccetera eccetera eccetera. Mentre la sinistra radicale (tradita e venduta dal vippettaro e salottaro Fausto Bertinotti) risponde con “ritiriamoci-subito” eccetera eccetera eccetera. Mettiamoci d’accordo, allora.

Cominciare la guerra in Afghanistan era sostanzialmente giusto. Intendiamoci, ogni Paese è libero di decidere quale sistema di governo adottare e da quale bigotto dittatore farsi comandare a bacchetta. Ma non può dare protezione a terroristi che girano il mondo sparando, facendosi esplodere, uccidendo in nome di chissà quale dio. Ora, però, dopo quasi dieci anni c’è da scegliere. Se in Afghanistan decidiamo di rimanerci allora che sia guerra. Basta con la retorica del “nostri-bravi-ragazzi-che-portano-il-chupa-chups-ai-bambini” o il clistere ai vecchi. Ci mandiamo lì i migliori reparti, i migliori mezzi, i caccia bombardieri, i blindati. E che sia battaglia. Punto. Senza fermarci a frignare per ogni ragazzo morto. In guerra, quella vera, si muore. E pure in tanti.

Sennò, se si vuole lasciare quella gente lì a scannarsi ché tanto da lì se ne sono andati sconfitti anche i russi (che certo non si facevano problemi di diritti umani come noi ora), prendiamo armi e bagagli e salutiamo tutti. “Grazie per l’accoglienza mullah Omar, vi lasciamo al vostro Medioevo, ma vedete di non farvi più vedere dalle parti di qualche stazione occidentale con cinturoni esplosivi”.

O no?